libri,  saggi,  traduzioni

Il complotto africano

Sono stati i bianchi europei, guidati da un fantomatico “mister X”, a uccidere sessant’anni fa in Congo il segretario generale delle Nazioni Unite per mantenere il potere sui neri africani?

| di Ravi Somaiya |

Nel 1960, il Congo si divise in due. Fu il primo dei molti conflitti che da allora in poi hanno devastato il paese e prese impulso dal desiderio dei suoi cittadini nativi di ottenere democrazia e diritti.

Il Belgio aveva governato sul Congo per decenni, determinato a sottrarre la maggior quantità possibile di risorse naturali a uno dei paesi più ricchi del mondo. Gomma. Rame. Olio di palma. Uranio. Diamanti. Oro. Cobalto.

Il metodo dei belgi era crudele e particolarmente efficiente: facevano lavorare i congolesi neri fino allo sfinimento per estrarre le loro ricchezze e poi se le portavano via. Chi si ribellava subiva punizioni esemplari.

Si stima che fra il 1895 e il 1908 il regime abbia fatto morire fra gli 8 e i 10 milioni di congolesi – circa la metà della popolazione – di fatica, malattie e omicidi. Uno storico belga ha stimato che i profitti personali ottenuti all’epoca dal re del Belgio Leopoldo II ammontino a più di un miliardo di dollari odierno.

In seguito nel paese sopravvisse una specie di apartheid. Fino a quando, nel gennaio del 1959, un giovane congolese nero ebbe una discussione con un autista, un bianco europeo. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il pugno sferrato dal giovane suscitò una rivolta. Nella capitale, Leopoldville, oggi Kinshasa, notte dopo notte migliaia di congolesi si scontrarono con i dominatori coloniali belgi.

La loro richiesta di libertà fu accolta con sdegno e una pioggia di proiettili. “Li abbiamo uccisi perché sono ladri e saccheggiatori”, disse il generale belga che guidava la repressione. “Se non si calmano, siamo pronti a ricominciare”.

Poco tempo dopo, furono i suoi soldati congolesi ad ammutinarsi con violenza. Molti dei bianchi residenti nel paese, temendo che la democrazia arrivasse accompagnata da altre rappresaglie, lasciarono in tutta fretta la provincia più ricca di minerali, il Katanga, che formò uno stato indipendente ed entrò immediatamente in guerra con il governo centrale.

Oggi è una guerra quasi dimenticata, ma per un breve periodo fu oggetto delle febbrili attenzioni di Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica – ognuno dei quali, in quella guerra fredda per procura, spalleggiava un diverso contendente – e dei mercenari europei, suprematisti bianchi, che considerarono la difesa del Katanga il primo passo della loro missione di dominio globale.

Quei mercenari erano in parte finanziati dagli enormi conglomerati minerari che volevano preservare l’indipendenza del Katanga per non perdere un importante flusso di ricchezze. Una volta riunificato il paese, il governo centrale aveva intenzione di rinegoziare accordi più vincolanti, per riprendere il controllo delle proprie ricchezze naturali.

La chiamarono la “crisi del Congo” e al centro di quella crisi c’è uno dei più grandi misteri irrisolti del XX secolo. Il 17 settembre del 1961 un aereo di linea – un DC-6 Douglas sul quale viaggiavano il segretario generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld, e altre 15 persone – si schiantò poco oltre il confine meridionale del Congo, uccidendo tutte le persone a bordo.

Hammarskjöld, un aristocratico svedese e un idealista di saldi principi, era diretto a un incontro negoziale con i rappresentanti del Katanga; sperava di poter mettere fine alla guerra e restituire il Congo riunito al suo popolo, perché potesse decidere del proprio futuro. Il suo sostegno alla causa dell’indipendenza dei neri – dall’influenza dell’Occidente come da quella dell’Unione Sovietica – ne fece un nemico per quasi tutti coloro che avevano un interesse in gioco nel paese.

Sopra il suo corpo, superficialmente quasi illeso, qualcuno posò misteriosamente una carta da gioco, un asso di picche. Uno dei passeggeri, un agente della sicurezza, sopravvisse per qualche giorno dopo lo schianto e prima di morire per le ferite riportate disse che a bordo c’era stata un’esplosione. I testimoni dello schianto dichiararono di aver visto un altro aereo nel cielo quella notte.

L’ex presidente Harry S. Truman, confidente di John Fitzgerald Kennedy, il 19 settembre dichiarò ai giornalisti che Hammarskjöld era stato ucciso. Il primo ministro congolese, Cyrille Adoula, avanzò la stessa ipotesi. Furono ignorati. L’inchiesta ufficiale, condotta da rappresentanti della vicina Federazione della Rhodesia e del Nyasaland, il cui governo pensava che i bianchi dovessero governare sui neri, concluse che si era trattato di un incidente.

C’è un piccolo gruppo di persone che non ha mai creduto a quel verdetto e ha continuato a indagare. Ne fanno parte George Ivan Smith, un alto funzionario delle Nazioni Unite amico di Hammarskjöld, e Claude de Kemoularia, un ambizioso diplomatico francese.

Un incontro a Parigi

Ho spesso pensato che trascorrere cinque minuti con chi indagava su quella morte, o con chi si sospettava vi fosse coinvolto, mi avrebbe rivelato molto di più di qualunque biografia.

Poco dopo aver finito di scrivere il mio libro, ho avuto l’opportunità di ascoltare due di loro. La Bodleian Library, ha desecretato e mi ha inviato una serie di nastri, registrati a Parigi nel 1981, che contengono una scioccante confessione dell’omicidio di Hammarskjöld.

Alcuni dei nastri riportano frammenti di una conversazione fra Ivan Smith e de Kemoularia, avvenuta nell’appartamento di quest’ultimo, affacciato sul Bois de Boulogne. Altri riassumono le indagini di Ivan Smith, frutto di decenni di instancabile lavoro.

“Il 17 settembre di quest’anno”, dice Ivan Smith nel primo nastro, “nel giorno del ventesimo anniversario della tragedia, due dei suoi ex assistenti personali, che hanno lavorato a stretto contatto con lui in occasione di un certo numero di gravi crisi internazionali, si sono accordati per incontrarsi a Parigi e ripercorrere gli eventi che hanno portato alla tragedia”.

La storia che raccontano inizia la sera di giovedì 12 gennaio 1967 all’Opéra Garnier di Parigi.

De Kemoularia, che era stato assistente personale di Hammarskjöld, nel frattempo era diventato consigliere del principe Ranieri di Monaco, e si trovava in quel teatro per partecipare a un ballo di gala. Mentre vagava fra centinaia di parigini in smoking e abiti da sera, si imbatté in una persona che conosceva. Un occhialuto e preoccupato corrispondente da Parigi della United Press International di nome Robert Ahier.

Parlarono delle ondate di caos e cambiamento che stavano investendo il mondo. Dissero che Parigi stessa sarebbe stata presto devastata dalle sommosse. Poi immaginarono con nostalgia quali avrebbero potuto essere gli equilibri mondiali se Hammarskjöld fosse stato ancora vivo.

“È curioso”, disse Ahier, “ho incontrato un uomo che dice di sapere, o finge di sapere, la verità su ciò che è accaduto”.

Due settimane più tardi, come stabilito, due tipi con l’aria da duri parcheggiarono un’Alfa Romeo davanti all’ampia residenza monegasca di de Kemoularia. Uno dei due, il più loquace, si chiamava De Troye. L’altro, Grant, perlopiù stava di guardia.

Dissero a de Kemoularia di essere stati mercenari in Katanga. E che un aereo da combattimento dei mercenari, un Fouga CM.170 Magister con mitragliatrici da 7,5 mm aveva abbattuto l’aereo di Hammarskjöld.

Ma continuavano a ripetere che si era trattato di un incidente. Non di un agguato premeditato. Conoscevano il pilota del velivolo. Sapevano chi aveva ucciso il segretario generale. Ma l’obiettivo della sua missione era un altro.

De Troye disse che il pilota si chiamava Beukels e che era tormentato da quell’incidente. Aveva perso più di trenta chili e, fra un tentativo e l’altro di ammazzarsi bevendo, lavorava per una ditta edile in Belgio.

Dopo una serie di appuntamenti mancati, de Kemoularia iniziò a pensare che fosse tutto un imbroglio. Un tentativo di estorcergli del denaro. I mercenari in certe cose erano… beh, mercenari. Ma un lunedì sera De Troye gli portò Beukels.

L’aspetto del pilota corrispondeva alla descrizione di De Troye: logorato dalla vita e dai tormenti della sua mente, aveva l’odore di acetone tipico di chi beve da anni. Ma a de Kemoularia sembrò sincero. Come se desiderasse togliersi un peso dalla coscienza.

Mister X

La nazione secessionista del Katanga, nella parte meridionale e più fresca di quello che una volta era il Congo, era formalmente guidata da un ex uomo d’affari di nome Moise Tshombe.

I mercenari dissero a de Kemoularia che in realtà a comandare era un gruppo potente composto da una decina di consiglieri – provenienti da Belgio, Regno Unito, Francia e qualche altro paese – che rappresentavano gli interessi europei, industriali e non, in Africa. A capo del gruppo c’era un uomo che chiamavano sempre e solo “mister X”, un manager europeo che era di fatto il comandante in capo delle forze armate del Katanga e aveva un’influenza tale da essere più temuto di Tshombe.

Nell’agosto del 1961 Hammarskjöld e le Nazioni Unite incrementarono le operazioni di peacekeeping e attaccarono le forze del Katanga, nel tentativo di porre fine una volta per tutte alla secessione. Mister X e il suo gruppo temevano che potessero nuocere alla permanenza degli europei in Katanga e in tutta l’Africa. Le Nazioni Unite stavano agendo, efficacemente, come una forza indipendente a favore della riunificazione del Congo, in qualche modo in contrasto con i desideri di Stati Uniti e Unione Sovietica e con gli interessi commerciali degli europei. Non potevano lasciare che accadesse, avrebbe creato un precedente.

Il 17 settembre del 1961 l’aereo di Hammarskjöld lasciò Leopoldville diretto verso la frontiera con il Katanga, per andare a negoziare un cessate il fuoco con Tshombe. Ma quest’ultimo, secondo i mercenari, si era sottratto all’influenza dei suoi consiglieri. Mister X non poteva più fidarsi di lui.

Allora preparò un piano: due caccia intercettori avrebbero dovuto alzarsi in volo e dirottare l’aereo di Hammarskjöld verso una base vicina. Lui e il suo gruppo volevano parlare con Hammarskjöld e trovare una soluzione che permettesse al loro potere e alla loro influenza di non svanire così rapidamente come sarebbe accaduto con la fine del Katanga e la riunificazione del Congo.

Beukels disse che due piloti e due operatori radio decollarono, a bordo di due Fouga, verso le 22.40, ora locale, mentre l’aereo di Hammarskjöld si avvicinava alla regione. Nelle loro mitragliatrici, ogni cinque proiettili c’era un tracciante al fosforo, che avrebbe disegnato un arco luminoso nel cielo nero. Nessuno di loro sapeva chi ci fosse a bordo dell’aereo. Sapevano solo di doversi avvicinare, trasmettere un messaggio via radio, e sparare dei colpi di avvertimento se dall’aereo non avessero risposto.

Chiamata per il DC-6, questa è una richiesta di atterraggio. Deviate verso base Kamina. Sarete scortati. Importanti personalità europee vogliono incontrare uno dei vostri passeggeri. Se rifiutate, abbiamo l’ordine di usare la forza. Confermate.

Se l’aereo avesse proseguito lungo la rotta di atterraggio avrebbero dovuto dargli un minuto per rispondere, se si fosse orientato in un’altra direzione, tre minuti. Se il DC-6 avesse accettato, avrebbero dovuto scortarlo, volando in formazione, fino al luogo dell’incontro con gli europei.

Il secondo Fouga non vide niente e si allontanò. Invece Beukels, circa due minuti prima della mezzanotte, si rese conto di essere proprio sopra al suo bersaglio. Si abbassò a 2000 metri, circa 200 metri al di sopra del DC-6, e trasmise il messaggio.

“Aspetta, chiedo”, rispose qualcuno a bordo del DC-6. Beukels, su consiglio dell’operatore radio, scese ulteriormente, si pose alla destra del DC-6 e volò parallelo ad esso. Poi sentirono l’altro aereo parlare con la torre di controllo. Beukels, che a quel punto era di poco dietro al DC-6, colse l’esitazione del pilota e pensò che forse intendeva ingannarlo e atterrare.

Virò a sinistra, leggermente più alto del DC-6, e poi si abbassò alle sue spalle. Non aveva alternative, doveva sparare i colpi di avvertimento.

Premette il grilletto e sentì la mitragliatrice espellere una raffica luminosa. Si aspettava che tracciasse un innocuo arco nel buio. Vide invece con orrore che l’aereo più grande iniziava a zigzagare.

“Dici che l’ho colpito?” chiese all’operatore radio. “Sì”, rispose questi. Aveva visto l’aereo in fiamme a terra.

Beukels, a sua detta, inorridì. Atterrò in una base aerea dei mercenari all’una e cinque minuti del mattino. Appena uscì dall’abitacolo e vide le facce dei suoi superiori, capì che doveva essere successo qualcosa di terribile. Lo portarono al cospetto di un gruppo di ufficiali superiori e di alcuni membri del gruppo di controllo e fu interrogato. Scoprì allora, per la prima volta, ciò che aveva fatto. Lo trattennero per dieci giorni. Temeva che lo avrebbero ucciso senza un processo e senza possibilità di appello. Invece lo liberarono, e lui iniziò la sua deriva. Dopo l’incontro con de Kemoularia, Beukens sparì. Da allora se ne sono perse le tracce.

Scomparse

Anche se i nastri sono stati resi pubblici solo di recente, alcuni dettagli del racconto di Beukels erano diventati di pubblico dominio negli anni successivi alla tragedia. Furono ignorati. Secondo i più, l’uomo era chiaramente a caccia di soldi. E perché lui, de Kemoularia, o Ivan Smith non avevano riferito quella testimonianza alle autorità, che avrebbero potuto verificarla?

Più tardi seppi che de Kemoularia aveva tentato di raccontare quella storia sia al governo francese che a quello svedese. Lo avevano ignorato. Il diplomatico svedese con cui si era incontrato negò persino di averlo visto, anche quando gli mostrarono il biglietto da visita che de Kemoularia aveva conservato dopo l’incontro.

Ci furono altre strane scomparse e curiose amnesie. Poco dopo che, nel 1992, al governo americano fu chiesto di cercare maggiori dettagli sull’incidente, l’FBI distrusse volontariamente i fascicoli connessi con il caso Hammarskjöld. Si disse che i registratori audio nella torre di controllo non funzionavano e che i registri dettagliati della torre, che avrebbero dovuto servire come backup, erano andati perduti. Stando ai miei conti, c’erano almeno una decina di spie nell’area – contando solo quelle al soldo di Stati Uniti, Regno Unito e Germania Ovest – la notte in cui Hammarskjöld morì. Secondo la versione ufficiale nessuno di loro sapeva niente. I loro rapporti sono tuttora top secret.

Col tempo però, accanto al racconto di Beukels, sono spuntati altri testimoni e altre prove fondamentali. Quei brandelli hanno iniziato a intrecciarsi, creando una pista nel fitto della boscaglia. Il ristretto gruppo di persone che indaga con caparbietà sul caso Hammarskjöld ha iniziato a chiamarla “la pista dorata”, e il mio libro la percorre fino alla sua sconcertante conclusione.

Oggi, mentre le proteste del movimento Black Lives Matter si diffondono in tutto il mondo, una statua del tiranno, il re Leopoldo II, è stata rimossa ad Anversa, in Belgio. Una punizione simbolica per i suoi crimini.

Un altro tipo di epilogo per quella vicenda, secondo il mio parere di parte, si potrebbe trovare nei depositi dei servizi segreti americani e britannici, dove almeno due ex agenti della National Security Agency hanno suggerito che esistano registrazioni segrete che potrebbero finalmente confermare gli eventi che hanno portato alla morte di Hammarskjöld.

La sincerità non è un cattivo punto di partenza per la giustizia.

Traduzione di Alessandra Neve

 

Credits

Il testo qui riportato in traduzione, con il consenso dell’autore, è stato pubblicato il 27 giugno del 2020 sulla rivista Air Mail con il titolo “The African Conspiracy”. La foto in alto è tratta da un articolo del Guardian.

L’autore e il libro

Ravi Somaiya è un giornalista americano, è stato inviato del New York Times e scrive per The Guardian, Rolling Stone e New York Magazine. Il suo libro, The Golden Thread: The Cold War and the Mysterious Death of Dag Hammarskjöld, è stato pubblicato negli Stati Uniti da Twelve Books nel luglio del 2020. Il libro, dopo un excursus storico sulla lotta del Congo per ottenere l’indipendenza dal Belgio e un profilo di Dag Hammarskjöld, ritrae le principali personalità attive sulla scena all’epoca della tragedia (politici congolesi, rappresentanti diplomatici di molte nazioni, industriali con interessi nel paese, funzionari dei servizi segreti e così via), ricostruisce in maniera dettagliata gli eventi che hanno portato all’incidente aereo, fa un’analisi puntuale delle inchieste che si sono succedute nel corso degli anni, da quelle promosse dalle Nazioni Unite fino a quelle portate avanti a vario titolo da privati cittadini, e passa in rassegna anche le voci più improbabili circolate in merito all’accaduto, senza tralasciare di aggiornare, alla luce di nuove prove e di documenti recentemente desegretati, sugli sviluppi più recenti del caso. L’inchiesta delle Nazioni Unite sulla morte di Dag Hammarskjöld è tuttora in corso, così come altre inchieste indipendenti.

Condividi

Traduttrice, lavora con tre lingue (inglese, francese e spagnolo), per quotidiani, periodici ed editori. Traduce saggistica, con una forte inclinazione per l'approccio e lo stile giornalistici, e meno spesso ma molto volentieri fa traduzioni per il doppiaggio. Parla di nonfiction e giornalismo narrativo in un blog, La biblioteca di Miss Otter, nel quale recensisce libri, reportage, documentari e podcast e in parallelo svolge un'attività di scouting, proponendo agli editori libri scritti da giornalisti.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: