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Natale, origini di una festa

Dal Natalis Invicti dei Romani al Natale cristiano

| di Vittorio Monaco |

La fine dell’anno agricolo non era il solo periodo critico dell’anno solare. Dopo di allora la luce continua a declinare, fino al solstizio d’inverno. Ed erano proprio i giorni solstiziali a costituire la seconda minaccia di frattura del tempo. Di nuovo il mondo mostrava i segni dello squallore e del disordine. Di nuovo ‘superi’ e ‘inferi’, vivi e morti, tornavano a mescolarsi tra loro. Ma su ogni altra preoccupazione, questa volta, prevaleva la paura dell’estinzione della luce e del calore, i principi stessi della vita. Di conseguenza i riti solstiziali erano finalizzati a scongiurare la ‘morte’ del sole. Perciò il loro elemento più significativo era il fuoco.

Nell’antica Roma, gli ultimi giorni di dicembre erano dedicati a Saturno, il dio dell’età dell’oro e dei campi seminati (satum), e alle divinità solari. I Saturnalia romani risalgono al periodo monarchico (secoli VIII-VII a.C.); ma la loro organizzazione stabile pare sia avvenuta negli anni della seconda guerra punica, alla fine del III secolo a.C. In seguito, anche per influenza delle feste ateniesi del dio Crono, che i Romani assimilarono a Saturno, quello che fino allora era stato rituale di interesse locale assunse la dimensione di una grande festa e si diffuse nel mondo romanizzato. Un po’ dovunque, e non solo a Roma, i Saturnali furono celebrati e vissuti come restaurazione rituale dell’età dell’oro e dell’inizio del tempo, quando l’umanità si favoleggiava fosse vissuta liberamente nell’abbondanza e nell’uguaglianza dello stato di natura. La durata della festa, che all’origine era di un solo giorno (17 dicembre), divenne di due con Cesare, di quattro con Caligola e infine di sette con Diocleziano (17-23 dicembre). Ai Saturnali, nel periodo imperiale, seguivano le feste delle divinità solari.

In un cronografo composto da un certo Furio Dioniso Filocalo è riportato un calendario che, al 25 dicembre, annota: N. Invicti, ovvero Natalis Invicti, cioè ‘natale del Sole invitto’, Mitra, divinità solare introdotta dall’imperatore Aureliano (270-275 d.C.). «Il natale del Sole invitto era fissato dall’imperatore al 25 dicembre, ovvero qualche giorno dopo il solstizio invernale, quando il nuovo sole era salito percettibilmente all’orizzonte».[1] In onore di Mitra nella notte venivano accesi dei fuochi ovunque. Nel 307 d.C., quando Diocleziano rilanciò la religione solare, «sul Danubio fu dedicato un santuario a Mitra come sostenitore del potere imperiale».[2] Soltanto nei primi decenni del secolo IV, sotto Costantino, la Chiesa fissò al 25 dicembre la data di nascita di Gesù. Nel cronografo di Filocalo «è riportato un frammento di calendario liturgico cristiano in uso a Roma e che risale al 326 o forse più antico: alla data VII Kalendas Januarias – ovvero al 25 dicembre – si legge: natus est Christus in Betleem Iudae. Un’affermazione singolare e sconcertante perché nei vangeli non c’è traccia del giorno della nascita di Gesù».[3]

La data del Natale cristiano fu, dunque, scelta dalla Chiesa con il proposito di sostituire le feste di Mitra e del Sole Invitto con la celebrazione della nascita di Cristo. Per il paganesimo il sole costituiva «una delle ierofanie essenziali: esso appariva come la manifestazione della luce che dissipa le tenebre, ma parimenti anche come ciò che rende possibile la totalità della vita grazie al calore che emana. Il sole, nel mondo pagano, era adorato per i suoi effetti materiali».[4] Il cristiano non respinse il naturalismo pagano, ma lo accolse arricchendone e trasvalutandone il significato. Gesù, il nuovo sole, non negava il vecchio, ma lo assumeva all’interno di un significato più alto, in quanto luce «non più soltanto cosmica, ma spirituale».[5]

Tratto da Vittorio Monaco, Capetièmpe. Capodanni in Abruzzo, Textus Edizioni, L’Aquila 2019, pp. 63-65.

[1] A. Cattabiani, Calendario, Rusconi, Milano 1988, p. 69.

[2] J. Ferguson, Le religioni nell’Impero romano, Laterza, Bari 1989, p. 42.

[3] A. Cattabiani, Calendario, cit. p. 70.

[4] J. Daniélou, Miti pagani, mistero cristiano, Arkeios, Roma 1995, p. 16.

[5] Ivi, p. 271.

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